sabato 3 settembre 2022

Recensione: "Delitto sull'Isola Bianca" di Chiara Forlani



1950. Un'isola nel Po, nei pressi di Pontelagoscuro, dove la vita è scandita dai ritmi della campagna come nell'Ottocento: niente elettricità o meccanizzazione. Solo la forza fisica a contrastare la dirompenza della natura che, così come ha regalato terre da coltivare, così le può togliere con un'inondazione improvvisa e devastante. Fatica, povertà e un morto ammazzato che viene trovato nel bosco col cranio fracassato. I primi sospettati non possono che essere gli altri abitanti nell'isola, ma sarà davvero così? Ci penserà il Foresto, con la sua sensibilità acuita da un proiettile conficcato nel cervello, ad aiutare l'amico maresciallo a risolvere un'indagine che pare già chiusa, ma che non lo è affatto.

Chiara Forlani inanella una trama lineare, immergendo il lettore in un'epoca passata, non così lontana nel tempo, ma che invece pare distante anni luce dall'epoca moderna. In questi giorni di crisi energetica in cui tutti temiamo di restare al buio poiché senza elettricità non sappiamo più vivere, questo libro ci accompagna in un tempo in cui non esisteva altro che la luce delle candele e delle lampade a olio, in cui il sole scandiva le giornate, le famiglie vivevano insieme nelle case coloniche e per chiamarsi bastava urlare il nome del vicino o andare a casa sua, non come ora che parliamo tra di noi attraverso il telefono anche se a dividerci c'è solo un muro.

Oltre a esser un giallo, quindi, Delitto sull'isola Bianca racconta uno spaccato di vita e di storia delle nostre terre nel secondo dopoguerra dove le ambiguità e i soprusi erano ovunque e le differenze sociali erano abissali. Dove la famiglia stessa era un aguzzino da cui difendersi e dove la legge del più forte era l'unica che contava davvero.


TRAMA:

Anno 1950, un’isola al mezzo al Po, un misterioso delitto da risolvere, che tutti gli abitanti del luogo avevano motivo di commettere, un giovane ombroso che vive con un proiettile conficcato nel cranio e viene coinvolto in una vicenda dai contorni tenebrosi.
Diverse famiglie vivono sull’isola Bianca, un luogo sperduto dove l’esistenza segue i ritmi e le cadenze dell’Ottocento.
Vita di campagna, amori, saggezza popolare e segreti inconfessabili: tutto concorre alla soluzione del mistero, in un crescendo di tensione che si stende come un sudario sulla bellezza selvaggia della terra situata tra la città di Ferrara e il grande, maestoso fiume Po.


lunedì 22 agosto 2022

Recensione: "Con l'arte e con l'inganno" di Valeria Corciolani

Come direbbe Edna: Porcaloca quanto mi è piaciuto!


Parto col dire che le mie aspettative erano molto alte e non solo non sono state disattese, ma Con l'arte e con l'inganno ha alzato ancora di più l'asticella; attendo, perciò, con ansia il 30 agosto quando uscirà Di rosso e di luce, il secondo volume delle indagini di Edna Silvera.

Divertente, coinvolgente, personaggi strambi, caratterizzati in perfetto stile Corciolani, e poi arte a vagonate. Con l'arte e con l'inganno è un meraviglioso mix di tutto quello che mi piace: dialoghi efficaci, taglienti; cura maniacale del linguaggio, di ogni singola parola poiché, come Edna insegna: mai perdere di vista i dettagli! E cultura, tanta, tantissima cultura.

Con l'arte con l'inganno è un intreccio di colori, suoni, sapori odori che ti cattura dalla prima parola e non ti molla fino all'ultima, macinando pagine su pagine non solo per capire come va a finire, ma anche per restare in compagni dei suoi personaggi, una su tutti la spigolosa Edna che tollera la compagnia solo del suo gatto Cagliostro e delle sue sette galline, che adorano Abba e Ricchi e Poveri, e che si chiamano come dive del cinema.

Se volete uscire dal classico giallo, divertendovi a risolvere un mistero, ma senza perdere la risata, vi consiglio di leggere questo libro, ma anche gli altri testi di Valeria Corciolani, poiché il suo stile, la sua ricercatezza linguistica e i suoi personaggi, sono qualcosa che non vorrete più abbandonare.


TRAMA:

Edna Silvera, cinquantasette anni, è storica dell'arte e restauratrice di grande talento. Abita in una villetta a Chiavari e l'unica compagnia che gradisce è quella del gatto Cagliostro e delle sue galline, che adorano la musica degli ABBA e hanno nomi da dive del cinema (la Garbo, Marilyn, Bette Davis, la rossa Rita Hayworth). Chi la conosce sa che non ha peli sulla lingua: che si tratti di mettere in riga la madre ottantenne, Zara, che fa fuori una badante dietro l'altra, o di farsi valere con i baroni universitari, lei non si tira indietro. Anche se spesso finisce col mettersi nei guai. Dopo aver dato del "coglione maschilista" a un collega, Edna viene spedita a una conferenza a Siestri, paesino dell'entroterra ligure abbarbicato sui tornanti. Una punizione bella e buona, coronata da un piccolo incidente d'auto che la costringe a entrare nel negozio più vicino - la bottega di un antiquario - per cercare aiuto.
Quando scopre il cadavere del proprietario riverso a terra dietro una tenda e con le braghe calate, la polizia la considera una semplice testimone. Ma poi è lei a notare un dettaglio: un'antica tavola di legno che, sotto uno strato di pittura, potrebbe nascondere un tesoro...

venerdì 19 agosto 2022

Recensione: "Tre vittime e un'assassina, Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio" di Luciana Battan - Brè Edizioni

Fin dove può spingersi una madre per salvare i suoi figli?


Per rispondere a questa domanda basta leggere “Tre vittime e un’assassina: Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio”.

La storia della Cianciulli ha sempre suscitato in me un fascino inquieto, quella macabra curiosità che mi imponeva di chiedermi cosa avesse spinto una donna a uccidere e saponificare le sue vittime. Ed è per questo che ho voluto leggere questo libro che prende origine proprio dal memoriale della Cianciulli, abilissima negli affari, astuta; tanto scaltra quanto folle, come folle è la sua storia che pare la trama di un film dell’orrore, ma che risulta ancor più spaventosa realizzando che invece è tutta vera.

Questo testo offre molti punti di vista, non solo quello di Leonarda Cianciulli e Norina Pansardi ovvero le due opposte personalità che abitavano il medesimo corpo; ma anche quello delle ignare vittime e ciò permette di analizzare la storia da diverse angolazioni, assaporandone le sfaccettature, a volte macabre, altre persino misericordiose, poiché Leonarda Cianciulli non si è mai risparmiata e ogni cosa che faceva era mossa da un bene profondo, oserei dire quasi supremo, per lo meno ai suoi occhi, che le imponeva di raggiungere i suoi obiettivi a qualunque costo, che fosse sfamare i bisognosi o proteggere i suoi figli.

"... Lui non sa che io sono due donne insieme. Due persone in una. Sono Norina Pansardi e Nardina Cianciulli... La Norina è quella che deve agire. La Nardina invece è la madre che tanto deve soffrire, che non può fare nulla e si affida a Norina perché agisca al posto suo... Ed è da Norina che corre Nardina quando l'angoscia l'assale. Io sono Leonarda Cianciulli, ma non ho dubbi sul fatto che dentro di me vivano due diverse donne."

Consiglio la lettura di questo libro a chiunque abbia lo stomaco abbastanza forte da sopportare il peso delle angosce di una madre quattordici volte e tre volte assassina.


TRAMA:

Leonarda Cianciulli: la Saponificatrice di Correggio. Una specie di strega moderna? Un essere spregevole e spietato? Una madre che farebbe qualsiasi cosa per i figli e che si identifica nella Fantine de I miserabili e nelle donne spartane perché vuole salvare i figli che le sono rimasti? Una personalità sfaccettata, una donna poco istruita, ma abilissima procacciatrice d’affari? Nata in provincia di Avellino alla fine del 1800, si convince di essere stata maledetta dalla madre: si era infatti rifiutata di sposare il cugino per convolare a nozze con Raffaele Pansardi, l’uomo amato. Sa che questa maledizione ricadrà sui suoi figli e si adopera per offrire a Dio sacrifici umani in cambio della salute dei suoi ragazzi. Una storia vera, quasi incredibile. Un racconto emozionante, macabro e grottesco al tempo stesso. Una vicenda raccontata nei minimi dettagli per tentare di dare una spiegazione a raccapriccianti azioni delittuose. Un libro che ci catapulta alla metà del 1900 con l’Italia fascista in guerra, fra tanta ignoranza, ingenuità, saponi e dolcetti.

martedì 16 agosto 2022

Recensione: "Il labirinto delle nebbie" di Matteo Cavezzali

 La palude è la rivincita della natura sull’intelletto umano. La palude non può essere domata, né compresa. È l’inconscio, il labirinto, che fa smarrire e sprofondare.




Amo i romanzi ambientati nella “mia” terra: quei luoghi monopolizzati dal Delta del Po e dalle sue suggestive e irremovibili leggi, dove la nebbia la fa da padrone nell’aria, offuscando la vista, e dove la palude rende incerto ogni passo.

Sono terre ricche di misteri e suggestioni, luoghi di leggende e credenze arcaiche che affondano le radici nelle paure dei nostri antenati, ma che respirano ancora fra le incertezze di oggi.

Matteo Cavezzali intreccia una trama noir che s’insinua fra le atmosfere senza tempo del Delta del Po, immaginando un paese: Afunde, il cui nome si differenzia solo per un accento dal verbo afundè, che in dialetto significa affondare. Tale luogo, infatti, che sorge ai margini della palude, affonda a una velocità inquietante, ma i suoi abitanti, per la maggior parte donne vedove della Grande Guerra, non se ne curano, poiché la palude e le sue regole non si discutono, le si accettano e basta.

Il labirinto delle nebbie è un viaggio nella povertà e nella miseria di un’epoca, nella lotta per non soccombere agli eventi e alla natura. Dove mostri e fantasmi hanno la stessa consistenza della nebbia dalla quale prendono vita, eppure uccidono. Riuscirà Bruno Fosco, reduce della Grande Guerra a uscire indenne dal labirinto delle nebbie e a catturare il feroce assassino?

Ogni respiro, ogni istante in cui siamo vivi è un dono che rubiamo alla morte. Non il contrario. La morte non ci porta via nulla, perché noi siamo già cosa sua.

Ognuno di noi è quello che fa per gli altri. Solo questo.


TRAMA:

Bruno Fosco è tornato vivo dal fronte della Grande Guerra, ma non è più l'uomo di quando è partito. Forse è anche per questo che accetta il ruolo di ispettore ai confini del mondo, ovvero nella stazione di polizia di Afunde, un villaggio nella palude del delta del Po in cui vivono solo donne, perché nessun uomo è sopravvissuto al fronte. Insidie, nebbia e cupe storie circondano il villaggio, mentre i suoi edifici sprofondano ogni giorno di più nel terreno fangoso. Quando viene trovata morta Angelina, con un misterioso simbolo sul collo, comincia una vera e propria battuta di caccia al suo assassino dentro i labirintici percorsi della palude. La bellissima e sfuggente Ardea sembra sapere molto di più di quello che si riesce a "leggere" dentro la realtà ingannevole e ancestrale dalla quale il forestiero è stato inghiottito assieme al suo sottoposto Della Santa e al vecchio e burbero anarchico Primo. Su Fosco e Ardea, e su tutto il paese, incombe l'eredità di violenza che la guerra, come tutte le guerre, ha lasciato dietro di sé. Matteo Cavezzali prende le mosse, come è sua consuetudine, dalla realtà storica per toccare la pelle viscida di un luogo mitico e infernale dove la ricerca del mostro si trasforma in un intricato racconto di fantasmi attraversato da una sinistra ansia di giustizia.


venerdì 12 agosto 2022

Recensione: "Acqua passata" di Valeria Corciolani

Bisogna sempre saper aspettare, che siano i minuti necessari per l'infusione di un buon tè o che siano le ore utili a trasformare una vita.

Se avete l'abbonamento a Kindle Unlimited, non vi siete ancora fatti travolgere dalla serie La colf e l'ispettore, e amate i gialli spassosi, quelli che strappano anche qualche risata, vi consiglio di correre a leggere Acqua passata di Valeria Corciolani.

Di questo libro ho amato moltissimo la caratterizzazione dei personaggi, tanto "strambi" quanto focalizzati e coinvolgenti. Ho amato anche lo stile dell'autrice (della quale non avevo ancora letto niente, ma recupererò) scorrevole eppure profondo e immersivo, e la scelta accurata dei termini, a volte inusuali, ma perfetti in questo contesto. Leggendo ho visto, ho annusato, ho sentito e sono stata assorbita dalle atmosfere catastrofiche di una Chiavari sull'orlo di un disastro ambientale dove l'acqua non risparmia nessuno e con la sua irruenza spazza via tutto e, paradossalmente, ripulisce e rimette ordine nel caos.

Dal cielo scendono colate di luce obliqua a pugnalare l'orizzonte verde scuro del mare. Una luce feroce che affetta l'atmosfera livida e cangiante da libro dell'Apocalisse. Splendida. E tremenda.

Acqua passata mi ha divertita e anche commossa con le vicissitudini di Alma: una madre sola con quattro figli a carico (due coppie di gemelli) e una suocera, e ho vissuto tutti i suoi turbamenti e le paure per le sorti di un figlio alle prese con il peso dell'adolescenza.

Sedici anni sono fragili per dare il giusto peso ai pesi. I pesi a sedici anni ti schiacciano. Ti seppelliscono.

Ho amato anche la scelta di collegare la fine di un capitolo e l'inizio del successivo con le stesse parole che assumono però significati diversi.

Se siete alla ricerca di un giallo classico o di un thriller pieno di suspense o alta tensione, allora non leggete questo testo poiché lo stile è quello dei cosy crime ovvero più leggero ed edulcorato, dove le redini dell'indagine sono tenute da un detective amatoriale donna dotato di brillante intuito, che ha a che fare con un poliziotto un po' imbranato. Acqua passata non spaventa, ma coinvolge, è ben scritto e lo consiglio anche a chi non ama i gialli o comunque non è solito leggerli.  

Bisogna sempre saper aspettare, che siano i minuti necessari per l'infusione di un buon tè o che siano le ore utili a trasformare una vita.

La verità è figlia del tempo. Per cui non esiste una verità assoluta. C'è solo la verità di ogni singolo momento


TRAMA

Una colf dai fianchi robusti e dalla mente sottile capace di leggere la realtà più lucidamente di Sherlock Holmes.

Chiavari. In un vicolo della placida cittadina ligure, uno sconosciuto viene rinvenuto in fin di vita. Poche ore dopo, Alma Boero, quarantenne dallo sguardo acuto, poche parole e selvatica fierezza, trova il cadavere di una giovane editor nel palazzo dove lavora come colf.

A indagare sui casi è l’ispettore Jules Rosset, che resta presto folgorato dalle intuizioni della giunonica colf e dalla sua capacità di fotografare le persone scandagliandole attraverso le loro abitudini, la loro spazzatura, il loro modo di sistemare i calzini e dalle piccole e grandi manie che ogni essere umano custodisce gelosamente.

Quando alle indagini si aggiunge un nuovo mistero, Rosset capisce di avere per le mani uno strumento impareggiabile per sbrogliare la matassa di quegli eventi all’apparenza slegati tra loro e per evitare le reticenze investigative del questore: una colf insospettabile, discreta e affidabile, che può infilarsi nelle pieghe più intime delle vite altrui. Ma Alma – quattro figli, una suocera e un ex marito – è uno strumento tutt’altro che facile da usare.


L'autore

Valeria Corciolani è nata e vive a Chiavari, con marito, due figli, un geco e un gatto di nome Elwood, in onore del personaggio dei Blues Brothers. Laureata in Belle Arti, lavora come grafica/illustratrice e conduce corsi nelle scuole per avvicinare i bambini all’arte e alla creatività. Si occupa di fotografia, allestimenti e complementi di arredo in eco-design. Zitta zitta, si mette a scrivere e nel 2010 pubblica per Mondadori il suo primo romanzo, Lacrime di coccodrillo. Nel 2012 si cimenta con il racconto Il gatto l’Astice e il cammello (Antologia “Giallo Panettone”, Mondadori) e si diverte moltissimo, tanto che ne scrive un altro, Mephisto (Antologia “Animali noir”, Falco Editore). Con Emma Books pubblica Il morso del ramarro (finalista al Premio internazionale di letteratura Città di Como 2015), il racconto Pesto dolce – la ricetta della possibilità e La mossa della cernia. Ah, giusto a onor di cronaca, il geco si chiama Attilio. Acqua passata è il suo primo titolo per Amazon Publishing, al quale ne sono seguiti altri cinque sempre della serie La colf e l'ispettore. Nel 2021 esce con Mondadori Con l'arte e con l'inganno ovvero la prima indagine di Edna Silvera e il 30 agosto 2022 uscirà la sua seconda indagine, con il titolo Di rosso e di luce.


sabato 23 luglio 2022

Recensione "La mossa del gatto" di Sonia Sacrato

 


Amo i gatti e amo i misteri, gli intrighi e le vecchie soffitte. "La mossa del gatto" di Sonia Sacrato unisce tutti questi elementi in una trama che intreccia il passato e il presente, e dove i personaggi, ben caratterizzati si muovono travolti da eventi in apparenza scollegati, ma che in realtà non lo sono affatto.

Vecchi amori idealizzati dal tempo, e sospetti, dissapori e rancori che sedimentano piano piano, costruendo muri che paiono invalicabili finché il gatto Pablo non decide di metterci lo zampino.

Lo stile scorrevole e ironico rende "La mossa del gatto" una piacevole lettura e fra un mese esatto, il 23 agosto 2022 uscirà "L'istinto del gatto, una nuova indagine della coppia più enigmatica del giallo italiano: Cloe e il suo gatto Pablo" 

Miao!


TRAMA:

Le vecchie case raccontano storie, e a volte segreti inconfessabili. 22 novembre 1956: le acque del Piave restituiscono il corpo della giovane Virginia. Nonostante dei lividi sospetti sul suo corpo, il medico legale certifica la morte per annegamento. L'ipotesi di omicidio è messa da parte dopo avere ascoltato la sorella della vittima e il caso viene archiviato come suicidio. Sessant'anni dopo. Cloe - una giovane insegnante di storia dell'arte - non riesce a dire di no alla richiesta della madre che vuole il suo aiuto per svuotare la vecchia casa della nonna, Clotilde, morta da poco. Lascia quindi Alba in compagnia di Pablo, il suo gatto, alla volta di Vas, in Veneto. Cloe non ha bei ricordi legati a Vas, né alla nonna: è decisa a tornare ad Alba prima possibile. Ma il paesino ha delle sorprese in serbo per lei. Una triste storia che riguarda la sorella della nonna, che Cloe ignorava. Un incontro con qualcuno che, da piccola, le ha fatto battere il cuore. Ma soprattutto soffitte che celano misteri e che accendono in lei un irrefrenabile desiderio di sapere. Aiutata da un carabiniere in pensione e dall'inconsapevole ma decisivo gatto, Cloe si lascerà travolgere da un'indagine che la porterà a scoperte davvero inaspettate. Una vecchia casa da svuotare. Una soffitta che nasconde dei segreti. Un passato che torna a galla.

sabato 16 luglio 2022

Recensione: "Il rosmarino non capisce l'inverno" di Matteo Bussola

 «Anche a inciampare si fa un passo avanti»


Le parti più importanti di un libro sono l’inizio e la fine: il primo ti fa acquistare un libro, il finale te lo fa ricordare. Il rosmarino non capisce l’inverno ha un finale strepitoso, illuminante e dove ogni singolo tassello trova il proprio posto, mostrando l’intreccio sorprendente ed emozionante di una trama ben più complessa di quel che sembra.

Ammetto che non amo i racconti, prediligo le storie che si srotolano piano piano lungo testi più lunghi che permettono di assaporarle meglio, sotto ogni punto di vista. Il racconto, invece, mi dà sempre l’idea di una bozza incompiuta e frettolosa che finisce troppo presto lasciando un sacco di punti interrogativi. Questo testo è un insieme di racconti e quindi a tratti ho un po’ subìto le conseguenze della mia antipatia verso questo tipo di narrativa, ma la scrittura di Matteo Bussola, così delicata e coinvolgente, mi ha fatto superare questo limite trascinandomi verso un finale che ha completamente stravolto l’idea che mi ero fatta di questo testo.

Bussola dipana con maestria e sensibilità le vite di diciannove donne di età diverse, che in comune pare abbiano solo il fatto di essere alle prese con periodi difficili delle loro esistenze, ma in realtà c’è molto di più.

Mi affascina la sensibilità del Bussola verso un universo, quello femminile, che lui dice di conoscere poco, ma che invece sembra conoscere benissimo e fra le righe de Il rosmarino non capisce l’inverno ne coglie le sfaccettature, le profondità, le difficoltà e la forza delle donne sempre in bilico fra i doveri e i desideri, fra i luoghi comuni, le aspettative degli altri e la ricerca di una felicità che la si riconosce solo quando è ormai perduta, ma non è mai troppo tardi.


«Nell'innocenza del nostro desiderio di incoraggiare, bisognerebbe badare un po' di più alle parole. Se non sopravvivi a una malattia non significa che non sei stato abbastanza guerriero, o che hai combattuto di meno. Chi lo fa, a volte, ha solo avuto più fortuna. Bisognerebbe lasciare il sacrosanto diritto, a un malato, di sentirsi fragile, debole, sconfitto o incazzato. Bisognerebbe evitare di caricargli, oltre al peso della malattia, quello di dover guarire per non deludere le persone a lui care, che gli chiedono "forza, sei un guerriero, ce la fai".»


TRAMA:

«A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all’improvviso di aver soffocato la propria?» In pochi come Matteo Bussola sanno raccontare, con tanta delicatezza e profondità, le contraddizioni dei rapporti umani. In pochi sanno cogliere con tale pudore il nostro desiderio e la nostra paura di essere felici. Una donna sola che in tarda età scopre l’amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un’anziana che confida alla badante un terribile segreto. Le eroine di questo libro non hanno nulla di eroico, sono persone comuni, potrebbero essere le nostre vicine di casa, le nostre colleghe, nostra sorella, nostra figlia, potremmo essere noi. Fragili e forti, docili e crudeli, inquiete e felici, amano e odiano quasi sempre con tutte sé stesse, perché considerano l’amore l’occasione decisiva. Cadono, come tutti, eppure resistono, come il rosmarino quando sfida il gelo dell’inverno che tenta di abbatterlo, e rinasce in primavera nonostante le cicatrici. Un romanzo in cui si intrecciano storie ordinarie ed eccezionali, che ci toccano, ci interrogano, ci commuovono. 

«Ho deciso di scrivere di donne perché non sono una donna. Perché ho la sensazione di conoscerle sempre poco, anche se vivo con quattro di loro. E perché è piú utile scrivere di ciò che vuoi conoscere meglio, invece di ciò che credi di conoscere già» (Matteo Bussola).


lunedì 11 luglio 2022

Recensione: "Dalle nove a mezzanotte" di Paola Rambaldi, Clown Bianco Edizioni


Dalle nove a mezzanotte” è crudo e sanguigno come le terre che descrive. Da emiliano romagnola, quale sono, posso dire di aver ritrovato in questo romanzo le atmosfere della mia terra, in un’epoca che ho assaggiato solo attraverso i ricordi di chi quegli anni li ha vissuti.

Questo noir, edito da Clown Bianco Edizioni, racconta, infatti, le periferie rurali a cavallo degli anni sessanta, con i suoi usi, i suoi costumi e le sue superstizioni.

Paola Rambaldi aggroviglia una trama che si arrotola su eventi criminosi e tragedie in apparenza scollegati e che impantanano i personaggi in un’atmosfera nera e rossa come il sangue delle tisane che nutrono la terra.

Ritroviamo Brisa Tunaia, la stria, che con la sua eterocromia e la sua capacità di vedere il futuro attraverso il contatto con una foto o un oggetto, è di certo un personaggio particolare, ma non troppo rispetto alla moltitudine di esistenze che animano queste pagine.

Immergersi in questo libro equivale a fare un viaggio negli anni sessanta, con le sue musiche, le sue acconciature, le pubblicità, il Carosello e le dinamiche di una società rurale, impetuosa, collerica, viscerale e cruenta.

Questo testo accalappia fin dalle prime righe, mostrando con onestà e senza artifizi quel si dipanerà lungo tutto il testo. Si apre infatti con la caduta in mare, per nulla accidentale, di una ragazza, e con l’agghiacciante ritrovamento del cadavere di un bambino scomparso tempo prima. Ho apprezzato moltissimo la cura dei dettagli di questo romanzo: i profumi, le contestualizzazioni, la scrittura graffiante che s’intona perfettamente con il nero e il sangue che racconta.

 

TRAMA

Estate 1963. Brisa è una spilungona con un bel corpo, un naso “importante” e una vistosa eterocromia che impressiona chi la guarda. Non solo: Brisa è una stria, una strega in grado di leggere il futuro degli altri anche solo sfiorando una fotografia con una ciocca dei suoi lunghi capelli. La gente si rivolge a lei per sapere come finiranno le storie d’amore, proprie o di personaggi famosi, oppure per ritrovare parenti scomparsi. Durante una gita all’Isola d’Elba, l’intervento di Brisa permette di salvare la vita a Jolanda, una giovane donna caduta dal traghetto. Ma si era davvero trattato di un incidente? E, poi, che fine ha fatto la vecchia Avemaria, scomparsa all’improvviso dopo aver portato fiori al cimitero? Mentre alcuni misteri del passato trovano finalmente una soluzione e vecchi amori tornano a bussare alla porta del presente, Brisa si troverà coinvolta in una vicenda che solo la sua presenza di spirito permetterà di districare.




venerdì 1 aprile 2022

E' e È non sono la stessa cosa

 


Un autore che si rispetti, che si voglia definire tale e che pretenda di essere letto e pubblicato non può presentarsi con un testo dove il verbo essere è scritto con l'apostrofo anziché l'accento.

Oltre a essere un errore grammaticale è indice di dilettantismo, di mancata cura e dedizione per il proprio lavoro, e denota superficialità e pressapochismo. È questa l'impressione che si vuole dare di sé nel presentarsi agli addetti ai lavori o, ancora peggio, al pubblico? Io credo di no.

Per scrivere un libro occorre tempo, tecnica, impegno, costanza e sarebbe un peccato vedere il proprio lavoro rifiutato solo perché pieno di errori evitabili con pochissima fatica. 

Ci sono infatti accorgimenti banali che concedono però al testo (e al suo autore) un salto di livello che lo rendono più appetibile e considerabile da parte di una CE.

Uno di questi trucchetti è la formula magica Alt+212. Tenendo premuto il tasto Alt sulla tastiera e pigiando la sequenza 212, apparirà come per magia la E maiuscola accentata nel modo corretto (È). 

È una delle scorciatoie presenti nella tabella ASCII dove si trova ogni genere di carattere che può essere utile nella scrittura, nella correzione o nella formattazione e uniformazione del testo.

Un altro modo per scrivere la E maiuscola con il giusto accento consiste nell'inserirla attraverso la sezione dedicata ai simboli del software di elaborazione testi .

Attenzione a non inserire quella con l'accento acuto (é). L'accento corretto per la terza persona singolare del verbo essere è quello grave (è È).

Il mio consiglio, se non avete molta dimestichezza con il software di elaborazione dei testi, o se comunque preferite concentrarvi sul contenuto del vostro manoscritto piuttosto che sulla sua forma, resta sempre quello di affidarvi a un correttore di bozze o a un editor prima di presentare il vostro testo a una CE, poiché un manoscritto può anche avere una buona trama, ma se è pieno di errori o refusi viene scartato.

Per maggiori info, correzioni di bozze o copy-editing: sarascaranna@gmail.com oppure visita il sito editingecorrezionedibozze.blogspot.it

giovedì 31 marzo 2022

L'importanza del correttore di bozze


    

Con l'avvento delle nuove tecnologie, delle app di messaggistica, della frenesia dei social networks, della velocità con cui viaggiano le informazioni sul web che amplificano la libertà di pensiero, di parola e di espressione, e sdoganando terminologie nuove che tendono a velocizzare i tempi a discapito della forma, molti credono che tale forma non sia più poi così importante.

    Ciò che conta è la sostanza, possono pensare alcuni. Be', se la vostra intenzione è scrivere messaggi su WhatsApp posso darvi ragione, ma se ciò a cui aspirate è l'essere letti da un pubblico più vasto, per raccontare le vostre idee, piuttosto che i vostri romanzi o saggi, la forma ha un'importanza fondamentale, poiché essa ha la potenza di rappresentare l'entità stessa delle idee o delle storie che narrate.

    La forma è la coccola che regalate al lettore, la garanzia che ciò che gli raccontate è il frutto di un approfondito lavoro di ricerca, della vostra professionalità e, quindi, della vostra credibilità e affidabilità.

    Determinante per il successo o il fallimento di qualunque forma di comunicazione è la sua credibilità e affidabilità. Ciò che il lettore si aspetta è che l'autore si sia impegnato su ogni singola parola che è stata scritta. Se in un testo un lettore trova refusi, difformità stilistiche, errori grammaticali o ortografici, inizia a diffidare di ciò che legge, si esaurisce così la magia che tiene avvinghiato il lettore alle pagine di un libro e che crea quell'illusione pilotata che tutto sia reale.
Allo stesso modo se il vostro intento è creare post con notizie di attualità, piuttosto che di cronaca, di finanza o di gossip, gli errori che si possono nascondere fra le sue righe possono minare la credibilità delle vostre parole e quindi la vostra affidabilità.

    Chiunque si sia cimentato con la parola scritta ha dovuto fare i conti con le creature più subdole che popolino la carta stampata: i refusi. Per quanto l'autore legga e rilegga ciò che ha scritto, qualche refuso è probabile che sfugga, anzi, è quasi una certezza matematica, ecco perché è importante affidare a un occhio esterno la loro ricerca. Nemmeno i beta readers spesso sono sufficienti, poiché moltissimi sono gli aspetti da tenere in considerazione (grammaticali, ortografici, formali, semantici ecc.) così come i trucchi del mestiere uniti alla precisione e alla professionalità di una figura preposta a presentare al meglio qualunque forma scritta.

    È importante far analizzare il proprio manoscritto a un correttore di bozze anche se si ha intenzione di proporlo a una casa editrice, poiché, spesso, un lavoro ben presentato e che necessita di poche correzioni può essere preferito e pubblicato a discapito di un altro che magari, anche avendo una trama avvincente, necessita di un imponente lavoro di editing.

    Se si ha intenzione di pubblicare in self, poi, la correzione di bozze oserei dire che è d'obbligo.


martedì 29 marzo 2022

Novità in libreria: "Io sono il mare, un'indagine del detective Rebecca Rubini" romanzo di Sara Scaranna


Disponibile da oggi 29 marzo 2022 il nuovo romanzo di Sara Scaranna: un giallo dal titolo "Io sono il mare, un'indagine del detective Rebecca Rubini" edito da Brè Edizioni.

Un romanzo avvincente ambientato nella città di Ravenna e zone limitrofe, in cui impariamo a conoscere un personaggio forte, irriverente, caparbio e che lascia il segno: Rebecca Rubini.

SINOSSI:

L’erede di una facoltosa famiglia di Ravenna muore in un incidente stradale, ma fra le increspature di una banale disgrazia, Rebecca Rubini, rinomata detective privata che mal tollera gli uomini così come le menzogne, vede trasparire il marcio di crimini ben più gravi. Che fine ha fatto Isabella Della Corte? E chi c’è sepolto al suo posto?

Rebecca è irriverente, caparbia. Tacchi a spillo e brillante intuito sono le armi con cui prende a calci la meschinità e le apparenze per scovare la verità.

Quasi per caso si trova coinvolta nella nuova indagine e, suo malgrado, deve collaborare con il commissario Salesi, una vecchia conoscenza. In comune fra loro solo l’antipatia reciproca e il peso di un inconfessabile passato che ritorna; implacabile e non fa sconti. Anche se Rebecca cerca di relegarlo in un angolo della memoria lui è lì, pronto a emergere con tutti i suoi scheletri e le brutture. I sensi di colpa diventano soffocanti, schiacciano e non fanno respirare.

Un’indagine che si snoda tra Ravenna e Bologna, tra prostituzione e sfruttamento. Riuscirà la nostra eroina e uscirne indenne?

Una trama intrigante e veloce che cela risvolti inaspettati: Rebecca riuscirà a decidere tra Massimo, uomo maturo con un passato alle spalle e Leo, il ragazzo giovane e sportivo?

 

«Voleva provare a tutti, ma in primo luogo a se stessa, che il marcio s’annidava in ogni essere vivente. La sua ostinazione per la verità, l’intransigenza verso il politically correct, erano il suo modo per far emergere il torbido celato sotto ad apparenti acque cristalline. Nessuno è innocente.»


TITOLO: Io sono il mare, un'indagine del detective Rebecca Rubini
AUTORE: Sara Scaranna
GENERE: Romanzo Giallo
PAG: 207
Disponibile in ebook e cartaceo 

domenica 26 settembre 2021

Virginia Woolf: vita, frasi e citazioni

"Ognuno ha il proprio passato chiuso dentro di sé come le pagine di un libro imparato a memoria e di cui gli amici possono solo leggere il titolo"



"Nell'ozio, nei sogni, la verità sommersa viene qualche volta a galla"

*********************

"La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo"

Biografia

In questo piccolo antro di mondo vorrei parlarvi della più grande scrittrice d'avanguardia del Novecento. Di una donna che fece della lotta per i diritti delle donne uno dei più grandi impegni della sua vita, insieme a quello di sovvertire il romanzo classico per renderlo più moderno e rispondente ai mutamenti del carattere umano. Sto parlando di Virginia Adeline Stephen, più comunemente nota come Virginia Woolf.

Nata nel 1882 in una delle famiglie londinesi più in vista e cresciuta in un ambiente eccezionalmente stimolante, frequentò fin da bambina i maggiori intellettuali e scrittori dell'epoca, ma la rigida educazione vittoriana, che prevedeva che solo i figli maschi avessero diritto all'istruzione pubblica, fu per Virginia motivo di enorme frustrazione che mise in lei radici profonde e spianò la strada al suo futuro impegno politico in difesa dei diritti e dell'istruzione delle donne.

Virginia sopperì all'inadeguatezza dell'istruzione ricevuta dedicandosi anima e corpo alla lettura e alla scrittura e servendosi degli insegnamenti dell'amato fratello Thoby, studente di Cambridge.

Nonostante l'infanzia dorata e il grande successo riscosso dalle sue opere, Virginia non riuscì mai a gioire per la propria fortuna. La perdita della madre a soli tredici anni, del padre e del  fratello pochi anni dopo, le ambigue attenzioni del fratellastro e il forte senso di inadeguatezza crearono in lei una frattura profonda che non si rimarginò mai e ne segnò l'intera esistenza, provocandole frequenti crisi depressive che la costrinsero a ripetuti ricoveri in clinica e la portarono a tentare due volte il suicidio, la prima fu proprio dopo la morte del padre, fino al fatidico 28 marzo 1941 quando, terrorizzata all'idea di perdere per sempre la propria lucidità, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse.


“Il pieno uso delle nostre facoltà significa felicità.”

“Non faccio che udire voci e so che questa volta non ne uscirò. Ho lottato, ma non ce la faccio più.”


Scrivere era per Virginia la "grande gioia" di poter rendere reale per mezzo delle parole il disegno celato dietro il non essere, ossia dietro le apparenze della realtà quotidiana.


"Il piacere di pensarci era tale che mi sentii felice come non mi accadeva da mesi; come messa al sole; o sdraiata su cuscini; e dopo due giorni [...] mi abbandonai al puro diletto di questa farsa: che godo come non ho mai goduto niente", scrisse durante la stesura di "Orlando". 


Per quanto gioisse in quei frangenti, però, la pubblicazione delle sue opere era sempre motivo di gravi crisi: non tollerava la tensione e l'ansia per il giudizio del pubblico e della critica, poiché temeva di non essere capita e che la propria arte a cui aveva dedicato tanto impegno, dedizione ed energia rappresentasse per gli altri una mistificazione.

Fu proprio durante la snervante attesa per l'uscita di "La crociera", la sua prima opera, che Virginia tentò il suicidio per la seconda volta, ingerendo cento pasticche di Veronal, approfittando della momentanea assenza del marito Léonard. Si salvò, ma le crisi si attenuarono solo quando il suo romanzo raccolse il favore della critica e del pubblico.

Oltre alle lotte interiori, Virginia si mise in prima linea per sovvertire i canoni del romanzo classico esaminandone ogni aspetto, vivisezionandolo per renderlo più vivo e attuale. 


"Il carattere umano è mutato, si è fatto frammentario ed elusivo."

"La vita non è una serie di lampioni piantati in forma simmetrica, è un alone luminoso semitrasparente che avvolge la nostra coscienza dall’inizio alla fine. E non è forse compito del romanziere saper rendere questa qualità fluttuante, inconoscibile, inafferrabile, con il minimo intervento di ciò che è sempre esterno ed estraneo?” 


Nonostante la paura del giudizio altrui, e il timore di non essere capita o male interpretata, Virginia Woolf non smise mai di mettere in discussione se stessa e il mondo che la circondava, rifiutandosi di accettare la realtà delle cose per pura convenienza e quieto vivere. Nonostante le proprie incertezze e insicurezze lottò fino alla fine per cambiare le cose, per far sentire la propria voce e il proprio pensiero.


“Esaminiamo per un momento una mente comune in un giorno comune. Essa riceve una miriade di impressioni - banali, fantastiche, evanescenti o scolpite da una punta d’acciaio - che le provengono da tutte le parti. È come una pioggia incessante di atomi... Registriamo gli atomi così come essi cadono sulla mente e nell’ordine in cui cadono, tracciamo il disegno, per quanto sconnesso o incoerente sia all’apparenza, che ogni immagine o incidente incide sulla coscienza”.


E fu attraverso queste profonde riflessioni che prese vita l'innovazione di Virginia ovvero il monologo interiore, il flusso di coscienza che le permise di esplorare meravigliosamente l’interiorità dei personaggi. «Noi siamo zebrati, multicolori».

Il percorso narrativo di Virginia Woolf seguì pedissequamente le sue riflessioni, a partire dai primi lavori "La crociera" e "Notte e giorno" in cui Virginia dimostrò di padroneggiare la tradizione classica del romanzo, e spingendosi via via sempre più oltre immergendosi nel suo Olimpo di introspezione dei personaggi, delle loro complessità emozionali e psicologiche, e snobbando completamente la trama, considerata dalla Woolf "volgarità da giornalisti".


"Niente impalcatura, non si deve vedere un solo mattone".


La cosa sconvolgente di questi romanzi e che testimonia l'estrema bravura, la maestria e il talento di Virginia Woolf è la capacità di tenere il lettore incollato alle pagine dei suoi libri pur non raccontando nulla o quasi. In "Mrs Dollower" tutto si concentra sui preparativi di una festa e in "Gita al faro", considerato il suo più grande capolavoro, ruota tutto attorno ai preparativi di un'escursione che si compirà soltanto dieci anni dopo. È l'Io il protagonista assoluto e indiscusso nelle sue opere, tutto il resto non ha alcuna importanza, poiché per Virginia "È essere, e non fare, ciò che conta".

Oltre a vivisezionare e sovvertire il romanzo classico, Virginia si impegnò attivamente in difesa delle donne e dei diritti umani in generale, sostenendo le suffragette, battendosi per la parità d'istruzione, per l'indipendenza economica ritenuta dalla Woolf basilare per la libertà di ogni donna, e per l'affermazione della cultura femminile, diventando a tutti gli effetti una paladina del femminismo tanto che i suoi scritti, in particolare "Le tre ghinee" e "Una stanza tutta per se" furono rispolverati dalla grande ondata femminista degli anni settanta e proclamarono la Woolf antesignana anche in questo campo. Fu proprio alle donne che Virginia dedicò la maggior parte dei suoi componimenti, disegnando personaggi indimenticabili come Rachel, protagonista de "La crociera" e senza dubbio il più simile a Virginia stessa con le sue inquietudini e il suo usare l'arte (la musica per Rachel e la scrittura per la Woolf) come strumento per esternare il proprio essere, passando per l'effimera quanto profonda Mrs Dollower a cui affidò tutto il proprio sentimento nei confronti della vita e della fuggevolezza di ogni istante vissuto.


"C’è una cosa che conta... una cosa che conta, nella vita, e che viene addobbata di chiacchiere, deturpata, cancellata, di giorno in giorno, lasciata lì a corrompersi, fra chiacchiere e menzogne. Lui, invece - il suicida - l’aveva preservata. La morte è un atto di sfida. La morte è un tentativo di comunicare, allorquando si avverte l’impossibilità di raggiungere quel centro, quella meta che, misticamente, ci elude: ciò ch’è intimo diviene separato; l’estasi si dilegua; si è soli. Nella morte c’è allora un amplesso."

"Lo sa il cielo soltanto difatti perché la si ami sì tanto, ciascuno a suo modo, la vita, inventandosela magari, costruendola ciascuno intorno a sé, disfacendola e creandola daccapo ogni momento."


Ma è ispirandosi alla defunta madre che Virginia Woolf creò, forse, il suo personaggio più intenso, ovvero Mrs Ramsay, la protagonista femminile di "Gita al faro", e fu proprio scrivendone le gesta ed esaltandone il ricordo che Virginia ne elaborò il lutto, benché con trentadue anni di ritardo.


«Probabilmente feci a me stessa quello che gli psicoanalisti fanno ai loro pazienti. Diedi espressione a qualche emozione antica e profonda. Ed esprimendola ne trovai la spiegazione e la potei riporre placata».


La sua ribellione contro il romanzo classico, da lei considerato troppo maschilista, e l'assiduo impegno per il riscatto femminile nacquero dal suo essersi sentita fin da bambina vittima di una società patriarcale, oppressiva e castrante nei confronti delle donne e le esortò a scrivere in quanto donne, orgogliose di esserlo, non dimenticando però che "La mente dell'artista è androgina". A suffragio di questa tesi spezzò la rigida identificazione sociale dei due sessi scrivendo le rocambolesche avventure di Orlando, personaggio ora uomo e ora donna, ispirato all'amica lesbica Vita Sackville West.

La forza di Virginia fu proprio quella di rimanere fedele a se stessa e alle sue convinzioni senza lasciarsi soggiogare dalle proprie debolezze e dalle difficoltà di un mondo in contrasto con il proprio essere e che la riteneva inferiore solo perché donna. Lei si oppose, nonostante i propri disordini emotivi e dimostrò di avere ragione, incrinando vetuste e radicate ideologie, sovvertendone gli schemi e innovando non solo il modo di scrivere, ma anche quello di pensare.

In un'epoca come quella attuale dove il panorama editoriale è affollato di romanzi aventi la medesima banale trama, pretesa spesso dagli stessi lettori felici di anestetizzarsi nella placida e sicura certezza di una trama senza sorprese, un’epoca protesa verso l'apparire più che l'essere e il sentire, un'epoca che privilegia l'estetica e che snobba l'introspezione, viene da chiedersi se non ci sia il bisogno della lucida follia di Virginia Woolf che sovverta gli schemi e scuota le menti per ricordarci che è nella profondità di noi stessi - e dei personaggi - che dobbiamo concentrare le nostre energie poiché è solo lì, e non altrove, l'essenza stessa della vita.





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