mercoledì 5 febbraio 2025

Ha ancora senso pubblicare con una Casa Editrice medio/piccola?



Ho il dente avvelenato, ora, lo so. Ma bazzico nel mondo dell'editoria da un po' e credo di aver maturato una discreta esperienza.

È una domanda che mi sono posta a lungo, infatti, ma oggi ho la mia risposta.

Ho recentemente rescisso il contratto con la mia storica casa editrice. Non perché non credessi più nel mio libro, né per mancanza di dedizione, ma perché la CE con cui avevo pubblicato è stata acquisita e trasformata in qualcosa che non potevo accettare.

Non potevo permettere che il mio lavoro, la mia voce, il mio nome fossero legati a un sistema in cui non credo, che ho sempre rigettato e a cui non voglio in nessun modo essere legata. Così ho fatto l’unica cosa possibile: ho ripreso in mano i miei diritti e mi sono fermata a riflettere.

Piccole CE: una promessa disattesa?

Quando si firma con una piccola o media casa editrice, lo si fa con la speranza di avere accanto qualcuno che creda nel proprio libro e lo aiuti a trovare il suo pubblico, districandosi in un mondo labirintico, tortuoso e affollato dalle migliaia di testi che vengono pubblicati ogni anno. La realtà, però, è spesso diversa.

Le piccole CE, con rare eccezioni, non hanno un vero potere promozionale. Distribuire un libro non significa semplicemente metterlo in catalogo o renderlo disponibile su un portale: significa garantirgli visibilità, spazio, una strategia di comunicazione. E troppo spesso, tutto questo ricade interamente sulle spalle dell’autore.

Così chi scrive si ritrova a:
📌 Cercare recensioni, blogger e interviste.
📌 Pagare pubblicità per raggiungere lettori.
📌 Organizzare eventi e firmacopie da solo.
📌 Promuovere il proprio libro con strumenti che una CE dovrebbe fornire.

E tutto questo per cosa? Per una ridicola percentuale sulle vendite che diventa ancora più misera se calcolata sul prezzo degli ebook. Perché l'autore, diciamolo, è l'ultima ruota del carro, spesso bistrattato da case editrici truffaldine e trattato come carne da macello da sfruttare e spennare fino all'ultimo centesimo facendo leva sul suo ego e sul desiderio di vedere pubblicato il proprio manoscritto.

Senza contare che ormai senza l'intercessione di un'agenzia letteraria è quasi impossibile approdare nella gran parte delle case editrici, che non accettano quasi più testi pervenuti direttamente dagli autori. Agenzie letterarie che, ovviamente, chiedono cifre non indifferenti per valutare un testo e poi decidere se meritevole di essere proposto alle CE oppure no. Restano comunque l'unico modo che l'autore ha per difendere i propri diritti e per tentare di fare il salto di qualità che ogni autore sogna di fare. Ma tutto ha un prezzo.

Ma un'alternativa c'è. Self-publishing: fatica, sì, ma con un senso.

Pubblicare in self non è una passeggiata. Significa lavorare il doppio: sulla qualità del libro, sulla copertina, sulla promozione. Ma significa anche poter raccogliere i frutti del proprio impegno.

Un autore indipendente può guadagnare molto di più su ogni copia venduta. Può scegliere la propria strategia, decidere il futuro del proprio libro senza vincoli, senza doversi affidare a qualcuno che, nella maggior parte dei casi, non ha gli strumenti per farlo emergere.

C'è ancora molta diffidenza, è vero. Il fatto che chiunque possa pubblicare qualunque cosa senza il filtro qualitativo che un tempo erano le case editrici può far pensare che il self brulichi di testi di dubbia qualità e ce ne sono, è vero. Ma testi del genere li ho trovati anche nei cataloghi di case editrici che ormai sono diventate delle vere e proprie tipografie pronte a pubblicare qualunche cosa sia il trend del momento senza più guardare alla qualità di un testo.

Un tempo l'editoria era più meritocratica. I testi pubblicati avevano un valore culturale. Ora non più. L'unico valore che conta è il guadagno. Che lo fornisca l'autore acquistando copie o pagando qualunque servizio, piuttosto che il grande pubblico per avere il libro del VIP del momento (anche se scritto da un ghostwriter) poco importa.

Qualcosa però sta cambiando. Molti concorsi letterari, per esempio, accettano anche testi pubblicati in Self, mentre un tempo erano banditi. E in alcuni casi, sfruttando piattaforme specializzate, li si possono distribuire anche nelle librerie.

La scelta è personale, ma io ho deciso

Se pubblicare con una CE significa poter contare su un team che lavora davvero al tuo fianco, allora è una scelta più che legittima. Ma se significa fare tutto il lavoro da soli e ricevere solo le briciole, allora la domanda iniziale ha una risposta chiara: pubblicare con una piccola CE, oggi, ha sempre meno senso.

Per questo, ho scelto di camminare da sola.
Libera di sbagliare, libera di riuscire. Ma soprattutto, libera.

E tu, che cosa ne pensi?

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