Intervista ad Antonello De Sanctis a cura di Libri e Poesie.
Antonello tu sei un indiscusso protagonista della musica italiana, hai scritto tantissime canzoni per artisti come Nek, Mietta, Raffaella Carrà, I Collage, Paolo Frescura, Gianni Morandi, I Cugini di Campagna (ricordiamo che la famosissima “Anima mia” è la tua), Paolo Meneguzzi e la grandissima Mia Martini. Nel 2007 è uscito il tuo primo libro “Non ho mai scritto per Celentano”, la tua autobiografia corredata da segreti e retroscena di 35 anni di musica leggera e nel 2010 è uscito “Oltre l’orizzonte. Una semplice storia d’amore”, romanzo amatissimo dai lettori di Libri e Poesie, i cui proventi sono in parte devoluti alla ricerca sul cancro. Ma oltre a queste informazioni prettamente biografiche, chi è Antonello De Sanctis? Proviamo a scoprirlo con questa breve intervista.
E’ nata prima la tua passione per la musica o per la scrittura?
Queste due forme d’espressione sono, almeno per me, strettamente collegate perché credo che ogni musica abbia già insite le parole – bisogna solo scovarle – e viceversa, ovviamente. Ero bambino quando una radio a valvole mi consegnò l’amore per le canzoni. L’interesse per la scrittura arrivò subito dopo, quando alla rigidità delle aste cominciai a preferire la rotondità delle vocali e delle consonanti. Con il tempo poi questa mia duplice passione si è consolidata e ho avuto la fortuna di fare un mestiere che mi ha consentito di coniugare il fascino dei versi con la magia delle note.
Nei ringraziamenti per “Oltre l’orizzonte. Una semplice storia d’amore” hai detto: “Scrivere un libro è un viaggio che parte dal petto, passa per le mani e arriva alle pagine”. Cosa ti ha regalato questo “viaggio”?
Ho srotolato al contrario il film della mia vita. L’ho fatto riservando la massima attenzione ai piccoli particolari che la smania del vivere mi aveva sottratto e ho scoperto prospettive, territori che non avevo notato prima. In fondo scrivere è anche questo: ripercorrere certi momenti, respirarli, approfondirli e ci appare, limpido, tutto quello che non avevamo visto ma tuttavia c’era.
Parliamo un attimo di Marta, la protagonista del romanzo che in realtà è tua madre. Vi accomuna anche il modo di pensare, di ragionare, di concepire la vita?
Marta è stata un faro per me ed io provo a concepire la vita con la stessa onestà, lealtà, rispetto per gli altri che accompagnavano i suoi comportamenti. Una strada tracciata la sua, solo che lei era la fonte ed io una sua derivazione. Il sole e la luna, capisci?
Visto il forte coinvolgimento che ti legava e ti lega ai protagonisti di “Oltre l’orizzonte” è stato difficile emotivamente scriverlo?
Sì, è stato doloroso come rigirare una lama in una ferita non ancora rimarginata. Mi sono immerso in quegli ultimi mesi che si stavano portando via mia madre, li ho ripercorsi passo dopo passo come non sapessi cosa sarebbe accaduto il giorno dopo, sperando di ricordare male, di essermi sbagliato, sperando che un colpo di vento, una deviazione improvvisa cambiassero quello che poi è accaduto... ma così non è stato, perché una mano non amica mi trascinava su un sentiero dove tutto era già stato scritto, su quelle notti di veglia che non finivano mai.
Per te, Oltre l’orizzonte è stato più uno sfogo, una liberazione o un senso di dovere e di vicinanza verso chi si trova a vivere una situazione simile e cioè chi combatte quotidianamente contro il cancro?
Dovere no, perché un atto d’amore ignora la parola “dovere”. Come potrei non provare un senso di vicinanza per le persone affette da questa malattia subdola, stupida, aggressiva, vorace? Spero solo che da domani, da oggi, nessuno debba più morire di cancro e per questo cerco di sostenere la ricerca come posso e per quello che posso.
La peculiarità di “Libri e Poesie” è di raccogliere frasi e citazioni, perciò ti chiedo qual è la frase o la parte di “Oltre l’orizzonte. Una semplice storia d’amore” che più ti piace e perché?
Bypassando il mio personale gradimento, ti riporto uno dei frammenti più apprezzati dai lettori che ha fatto il giro del web. E’ uno dei tanti flashback che riportano Matteo ai giorni che Marta “colorava la vita”, quando tutto sembrava indistruttibile.
Il fondo di un pozzo è nero, il mare di notte sotto un cielo a schiaffi è nero, una stanza con le serrande abbassate è nera. Ma quando il nero incontrava Marta, si acquattava come un leprotto spaurito.
Eppure ha un potere immenso, il nero. Oscura le fontane, le facce dei ladri, gli alberi ai lati della strada, le prostitute sui marciapiedi, gli sbadigli dei lupi, i pesci nell’acqua e persino le parole d’amore, qualche volta.
Nel vederti però, il nero si arrendeva perché eri la forza dei tuoi sguardi, i difficili sorrisi, la dolcezza che sapevi mettere in un rimprovero, l’intuirmi e l’incoraggiarmi se ti accorgevi che mi sentivo giù.
Torniamo alle canzoni. Hai lavorato con grandissimi artisti, quale di loro ti ha colpito di più?
Mia Martini, senza dubbio. Una donna intensa, viscerale, unica. E si sentiva da come cantava.
Ora una domanda un po’ malinconica: com’era Mia Martini?
Per risponderti, prendo in prestito uno stralcio tratto da “Non Ho mai scritto per Celentano” riferito all’ultima volta che incontrai questa grande artista. Stava recuperando la sua straordinaria carriera dopo anni di emarginazione dall’ambiente per le voci insensate che qualcuno aveva messo in giro su di lei.
Scendemmo le scale per andare a prendere un caffè, le posai con affetto una mano sulla spalla e la sentii morbida.
“Gli anni che mi hanno tolto li ho impiegati per crescere” riprese dal niente. “Non cerco vendette, spero solo che tutto questo tempo sia servito per meditare a chi ha voluto ferirmi e, anche se mi porto ancora addosso le cicatrici di una crudeltà stupida, non sento più male, credimi!”
Questa era Mimì. Tenera, pronta a perdonare chi le aveva fatto del male, con le braccia comunque aperte verso il mondo. E dal suo abbraccio mi slacciai quella volta pensando che l’avrei rivista domani, dopodomani forse. Ma quel forse purtroppo diventò un mai.
Qual è la canzone che hai scritto a cui sei più legato?
Quelle, di successo e non, nelle quali cantanti e zie dei cantanti, produttori e loro conviventi, compositori e relative portinaie, discografici, mogli, amanti, vecchie nonne e affini non mi hanno rotto le scatole con i soliti “Molto bella, però cambierei …” Le sento più mie. Cito a caso tutte quelle che ho scritto per Mimì, “Mi sembra un film” di Morandi, “In te”, “Laura non c’è” e “L’inquietudine” di Nek, “Gente comune” di Mietta, per citarne alcune.
E quella che avresti voluto scrivere tu?
Io amo la musica d’oltreoceano, sinceramente. In Italia avrei voluto scrivere per De Andrè, Battisti, De Gregori, Guccini … questi qui, insomma. Mi sembra però che se la cavassero e se la cavino abbastanza bene da soli.
Spesso, menzionando una canzone, si ricorda solo il nome dell’interprete, ignorando il paroliere e il compositore, anzi, a volte si crede erroneamente che l’interprete sia anche l’autore della canzone. Questo rimanere “nell’ombra” ti infastidisce o ti lascia indifferente?
Ascoltavo da ragazzo quando neanche mi sfiorava l’idea di scrivere testi, professionalmente intendo, una trasmissione radiofonica che s’intitolava “Il paroliere questo sconosciuto”. Restare dietro le quinte è da sempre nel nostro destino ma in tutta sincerità me ne importa poco. Non sono malato di protagonismo, anzi considero un privilegio poter camminare in mezzo alla gente e osservarla, piuttosto che essere osservato. Ed è proprio la curiosità per gli altri che, forse più dello studio o della lettura, mi ha insegnato a scrivere quel poco che so.
Cosa salvi, cosa butti o cosa cambieresti della tua carriera?
Cambierei la mia pigrizia, il non essermi mai trasferito a Milano dove c’era molto fermento di musica a quei tempi, butterei via le persone sleali, le presuntuose, le ignoranti e salverei la mia ostinata voglia di andare avanti anche quando ho attraversato momenti di difficoltà. Salverei la mia tenacia, ecco.
Progetti per il futuro?
Continuare a scrivere libri in primis – sto terminando il mio nuovo romanzo – sperando che il futuro non abbia progetti diversi su di me.
Cosa consigli a chi si affaccia al mondo della musica e della scrittura e vorrebbe ripercorrere, almeno un po’, i tuoi passi?
I tempi sono cambiati e a un figlio sconsiglierei di fare il paroliere o il compositore perché al giorno d’oggi è durissima. Se poi la febbre dell’arte fosse alta, suggerirei studio, affinamento delle qualità, tenacia, capacità di promuoversi, di fare nuove conoscenze e tanta, tanta pazienza. E infine consiglierei un viaggetto a Lourdes, non si sa mai …
C’è una domanda che nessuno ti ha mai fatto ma a cui avresti voluto rispondere? Se sì, quale?
Mi hanno chiesto di tutto e anche voi non avete scherzato, oggi. Per adesso sto bene così, grazie.
Grazie a te per la disponibilità e per l'autografo con dedica che riportiamo qui di seguito.