Scrivere è un bisogno.
Si scrive per rispondere a un’urgenza.
Perché non si può farne a meno.
Si scrive per portare all’esterno qualcosa che non possiamo più tenere dentro.
Per dare forma e confini a un ammasso indistinto di pensieri, emozioni, sensazioni, desideri.
Per provare a dar loro un senso.
Si scrive anche per lasciare traccia di sé e opporsi al vuoto.
Per tenersi compagnia.
Per condividere il proprio universo interiore o, semplicemente, per il piacere di farlo.
Scrivere è come gettare un ponte tra il non detto e il dicibile.
Un modo per far affiorare le profondità del nostro essere e dare loro una forma, una sostanza, che le renda condivisibili, controllabili, comprensibili.
Grazie al distacco del foglio, si diventa interpreti di se stessi.
Scrivere è un atto creativo e riflessivo.
Oltre alle parole, scorre un flusso di coscienza che, nel momento in cui viene trasformato in testo, diventa anche comprensibile.
Ci si distanzia dal proprio vissuto e si esercita uno sguardo più ampio, più critico, ma allo stesso tempo più empatico.
La scrittura aiuta a comprenderci, a rileggere i comportamenti passati, ad accettarci, a perdonarci, a prenderci cura di noi.
Nel momento in cui una sofferenza viene scritta — e quindi contenuta entro i confini del foglio — perde parte del suo potere distruttivo.
La scrittura salva.
E difende la dignità umana e la sua memoria.

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